Testo critico a cura di Chiara Agradi

La ricerca di Jacopo Valentini (Modena, 1990) si esprime per mezzo di fotografie essenziali, nitide nell’esecuzione e nel messaggio. I suoi progetti nascono dalla consapevolezza della complessità del paesaggio contemporaneo e dal desiderio di restituire in immagine le specificità di un dato territorio attraverso lo studio delle sue caratteristiche fisiche, architettoniche e delle tradizioni locali. All’analisi topografica Valentini combina lo studio dei modelli culturali del territorio di riferimento, dalle collezioni museali locali alla letteratura, nel tentativo di comprendere attraverso un’analisi profonda e trasversale che cos’è un territorio e come funziona.

L’analisi critica e la restituzione fotografica del territorio (italiano) trova puntuale espressione nelle opere dei maestri di quella che è talvolta stata definita ‘Scuola italiana del paesaggio’ da Mario Cresci a Luigi Ghirri, da Gabriele Basilico a Guido Guidi – sul cui insegnamento Valentini ha costruito le basi della sua formazione. Tuttavia, rispetto all’opera dei sopracitati autori –che tra gli anni Ottanta e Novanta furono iniziatori di un movimento intellettuale che intendeva sovvertire la maniera di pensare il territorio italiano– raramente nell’opera di Valentini il paesaggio si rivela con generosità; l’autore estrapola e fotografa –disponendo con precisione millimetrica i propri soggetti su uno sfondo chiaro–esempi di specificità territoriale, la cui assoluta nitidezza ricorda a tratti l’asettica eppur sofisticata estetica di campioni anatomici in una sala operatoria.

La ricerca di Jacopo Valentini muove dall’accertamento della prossimità di un dato territorio con un elemento naturale che abbia un’influenza sull’architettura e sulla vita dei suoi abitanti, dall’identificazione di un materiale locale o dalla constatazione di un’anomalia territoriale.

Con la serie Vis Montium, 2019, l’artista indaga la specificità del territorio reggiano interrogandosi sul ruolo che nel definire l’identità di questi luoghi ricopre la Pietra di Bismantova, una montagna che è allo stesso tempo citata da Dante nella Divina Commedia e punto di ritrovo per alpinisti.

Questa stessa prassi trova puntuale espressione nella prima serie realizzata dall’autore, Volcano’s Ubiquity (2018), che per mezzo di generosi grandi formati a colore riflette ad una definizione geo-estetica della città di Napoli, di cui egli realizza un’originale mappatura dal sapore Warburghiano, prendendo in considerazione alcuni pregnanti elementi, naturali o culturali, e luoghi che ne determinano l’unicità.

Per questi motivi, e non a torto, Valentini definisce la sua ricerca un progetto di ‘dislocazione territoriale’ ma è opportuno parlare di concettualizzazione, di sublimazione del paesaggio che si fa idea.

Ponendo l’accento sul carattere progettuale di Volcano’s Ubiquity, l’artista gioca con i formati (110x76cm e 76x63cm) e con l’associazione e la disposizione delle immagini tra loro (sullo schermo, su carta stampata e nello spazio). Alcune fotografie della serie costituiscono dittici che rivelano ad uno sguardo attento alcuni processi di post-produzione, a conferma del fatto che l’oggettività scientifica non è il cuore della ricerca dell’autore che, al contrario, non esita a deformare la realtà sfidando, in virtù di un approccio umanista allo studio del territorio, i principi di esattezza che soggiacciono a qualsiasi ricerca topografica e urbanistica.

L’obiettivo dell’artista cattura gli interni di una pizzeria tradizionale, le entrate laterali dello stadio San Paolo e gli storci palazzi del centro, luoghi permeati da quella che egli definisce una caratteristica ‘vulcanicità’, una qualità propria alla città di Napoli e alla sua vicinanza con il Vesuvio. Tale ‘vulcanicità’ si esprime nella scelta dei materiali di costruzione e nel pervadente fanatismo religioso e sportivo, conseguenza forse del latente fatalismo degli abitanti, la cui esistenza è in permanenza minacciata dall’attività del vicino Vesuvio.

Tuttavia, del chiassoso amore per il calcio, delle eruzioni vesuviane e dei brusii delle persone in chiesa, poco resta nelle fotografie di Valentini, fermo immagine di una realtà urbana complessa e stratificata, che l’artista cattura nella sua essenza in scatti senza tempo e silenziosi che sembrano custodire verità universali. Nei silenzi, negli spazi occasionalmente vuoti, nei momenti di quiete che precedono o seguono il passaggio di persone, l’autore coglie l’essenza di Napoli mettendola a nudo. Non si tratta però di una pulitura aggressiva e noncurante dell’identità della città; al contrario, Valentini individua nel fuoco, nel calcio, nella tradizione culinaria e nella religione i perni di una cultura generosa e passionale.

Riconoscendo in passioni ed emozioni le fondamenta di un luogo, e trasformandole in immagine, l’artista non solo porta la sua analisi ad un livello più profondo ed esteso ma afferma la necessità di guardare con sguardo umano al territorio per coglierne l’essenza suggerendo, viceversa, che azioni umane, relazioni e tradizioni sono indiscernibili dai luoghi che le producono.

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