Spesso le tesi di laurea inaugurano un percorso di ricerca o semplicemente assecondano un’attitudine pregressa e solidifica un’intuizione. Credo che questa seconda ipotesi sia la chiave di lettura del lavoro di Jacopo Rinaldi che insiste sul rapporto tra archivio – memoria – catalogazione.
La tesi sulla relazione tra l’archivio del curatore e critico Harald Szeemann e lo spazio architettonico che lo conserva prosegue un lavoro in cui il documento è il baricentro della ricerca e materia malleabile e mai univoca. E non si sottrae a questa lettura nemmeno il progetto A portrait of probabilities che vede coinvolta una sola immagine a reggere l’onere della Storia. Anche in questo la fotografia si assume l’ambigua responsabilità della memoria, Rinaldi seleziona uno scatto del 1901 che immortala gli studenti della Realschule di Litz in Austria. L’immagina originaria comprende quarantuno bambini (il numero di studenti della classe) tra cui compaiono Ludwig Wittgenstein e Adolf Hitler; Jacopo Rinaldi sovrappone i volti compresi nell’immagine per ottenerne uno solo, un unico ritratto collettivo. L’eccezionalità della fotografia risiede nella casualità della sorte che imprigiona nella stessa stanza uno dei massimi filosofi del XX secolo e il male, nella sua umana accezione. Il risultato è un’immagine rassicurante, il volto di un bambino leggermente sfumato; le tonalità di grigio liquefanno le forme rendendole di un candore evanescente. È un’immagine che precede la storia, forse inaugura il Novecento, anche la data (1901) allude ad un principio, una neonata coscienza (contrapposta).
Il punto di partenza, la classe, può essere considerata anch’essa una sorta di archivio, soprattutto se inscritta all’interno di un lasso temporale ampio. Ma in questo caso è la casualità a determinare la rilevanza della vicenda, è la sorte a poter cambiare il volto dello spazio. La fotografia segnala una possibilità, sintetizza le risorse ma non anticipa (non può farlo) la conclusione. Il tempo mastica e rimastica modificando il documento (la fotografia) da cui tutto ha avuto inizio. E la distanza temporale consente a Jacopo Rinaldi di sovrapporre gli addenti, i documenti a sua disposizione: il Novecento è concluso, è ora di tirare le somme per un ultimo scatto.
Le mura dell’archivio/classe hanno custodito per anni quello che la fotografia ha protetto in una sola immagine, ossia quella memoria che non è testimonianza fedele ma oggetto di possibili manipolazioni. E la liquidità in cui sembra immersa A portrait of probabilities allude alla distanza del ricordo che seppur archiviato e conservato a temperatura costante, lascia aperti i propri confini impastandosi con territori circostanti.
L’operazione di Rinaldi è una semplice sovrapposizione di dati, il risultato di un particolare caso studio, una classe del 1901 in terra austriaca, quarantuno ritratti e le loro conseguenze.