Testo critico a cura di Andrea Tinterri

“Nel linguaggio giuridico, c. fondiario, quello che delimita l’estensione della proprietà fondiaria circoscrivendo lo spazio cui il proprietario può esercitare pienamente il suo diritto” (confine in Vocabolario – Treccani).

Potrebbe essere utile partire da questa definizione di confine, in modo particolare rifarsi al linguaggio giuridico e quindi al concetto di proprietà e di diritto. Iniziato nel 2008 e tutt’ora in corso, Among è un progetto in cui Fabio Barile esplora le coste italiane soggette a importanti erosioni del mare. Paesaggi al limite, o del limite, in cui ponti, strade, abitazioni (probabilmente abusive) vengono saccheggiate dall’acqua che impone una nuova estetica del confine. Come se il mare calpestasse la giurisdizione e lentamente modificasse la soglia, manomettesse o sabotasse l’architettura dell’uomo per suggerire o imporre una nuova forma.

La circoscrizione dello spazio e quindi il rispetto del confine è un compromesso fallace che entrambe le parti hanno cercato o stanno eludendo. Ma questa sovversione erosiva non solo modifica il paesaggio, ma esplora la possibilità di abitare il limite che nelle immagini di Barile non è solo spaziale ma anche temporale. Il lavoro è realizzato durante il crepuscolo, quel breve momento della giornata, nominato “ora blu”, in cui l’indefinitezza della luce segnala la transizione del giorno. Il confine diventa un territorio in dissolvenza soggetto a variazioni climatiche e luminose, un territorio liquido esasperato dalle lunghe esposizioni fotografiche. E anche grazie a quest’ultimo espediente tecnico, il limite si materializza abbandonando la sua funzione giuridica; in molte immagini una sorta di nebbia sembra preludere ad un’ebollizione generatrice, una porta d’accesso ad una nuova giurisdizione. L’accusa, sottesa o implicita, sulla cementificazione e sull’abusivismo delle coste italiane innesca una discussione che oltrepassa l’esperienza politica o antropologica e addirittura forse anche paesaggistica. Infatti in questo caso, il paesaggio non è altro che il risultato di un processo chimico e di una combinazione di elementi. Fabio Barile assiste ad un lento combattimento in cui il mare sgualcisce la terra rinegoziando la condivisione reciproca e questa continua tensione genera una zona altrimenti inesistente, un territorio espanso, forse esploso. La fotografia segnala un luogo illusorio, come se la materializzazione dell’immagine palesasse un’apparizione temporale. Ma la serie di immagini, ormai frutto di dieci anni di lavoro, è anche un viaggio in Italia (la citazione è volutamente esplicita), un cammino o forse più una sosta lungo le coste che delimitano la penisola, un ritratto eroso che restituisce un carattere inevitabilmente instabile come lo è un qualsiasi affaccio al mare, esposto all’acqua salina solo apparentemente innocua.

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