Intervista ad Allegra Martin

Fotografia

Quando ho cominciato a fotografare consapevolmente, ho anche iniziato a riflettere su cosa fosse, per me, la fotografia e quali motivazioni mi avessero spinto a trasformarla nello strumento di espressione privilegiato.

Ricordo l’esigenza profonda di “fissare” le cose del mondo così come le vedevo e le percepivo, come se attraverso questa pratica potessi affermare la mia esistenza. Dapprima c’è stato il disegno, che tutt’ora mi accompagna come attività quotidiana (e libera da ogni aspettativa); tuttavia il disegno implica un’azione da “dentro a fuori”: decodificare i pensieri e le immagini interiori e renderli segno. La fotografia è un po’ il processo inverso: isolare frammenti dal flusso del tempo e dello spazio e renderli immagine. La parola immagine pare avere la stessa radice del verbo greco mimèomai (imitare, mimare): non è mera riproduzione della realtà, ma ne rappresenta una sua possibile visione.

La fotografia con queste premesse diviene così uno strumento che permette di esercitare la propria percezione del mondo, unitamente alla consapevolezza che vi è qualcosa che sfugge alla nostra comprensione, che conferisce ad essa il carattere di mistero.

Riferimenti (arte, letteratura, musica, altro)

In fondo vediamo ciò che conosciamo; la propria ricerca visiva è il prodotto delle proprie tensioni interiori e delle immagini che ci hanno formato e continuano a farlo, derivate anche da altri campi, quali la musica, la letteratura, l’arte…Ho la tendenza a produrre e associare immagini per gran parte degli stimoli che ricevo – siano essi olfattivi, sonori, etc.

Noi siamo il prodotto delle immagini di cui abbiamo fatto esperienza, e al tempo stesso queste immagini ci guidano nel processo di selezione.

Nella mia formazione hanno avuto grande importanza la storia dell’arte, la letteratura, la musica ma soprattutto il cinema: grandissimo impatto ha avuto l’opera di registi quali Antonioni, Tarkovskij, Kubrik, Lynch (e in adolescenza Kieslowski, Ozu, Jarman – la lista è lunghissima!) che hanno contribuito in maniera profonda a formare la mia capacità di “vedere per immagini”.

Metodologia di ricerca

Il metodo di lavoro che seguo – che ritengo essere comune pur nei differenti approcci – considera il mezzo fotografico uno strumento di conoscenza (e meraviglia) e il mondo un infinito serbatoio di immagini: il fotografare diventa così il predisporsi a un incontro con il possibile, e contestualmente nel fare esperienza del proprio mondo interiore.

Contaminazioni

La propria ricerca è inevitabilmente condizionata da molteplici contaminazioni: quelle esterne, i propri riferimenti culturali, la propria biografia, i luoghi che si vivono; ma in particolare, un impatto considerevole è costituito da frammenti di ricordi e dalla attività onirica e dalla loro apparente irrazionalità: molti dei miei sogni si trasformano in immagini e sensazioni che mi accompagnano nel corso della giornata e con il tempo si sedimentano insieme ai ricordi, creando un immaginario composto da frammenti di immagini.

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