Intervista a Rachele Maistrello

Fotografia

Mi interessa una fotografia che cerchi degli apparati complessi all’interno di cui esistere, ad esempio nel progetto Stella Maris le immagini fotografiche si accompagnano al disegno, alla scultura. Nel progetto Green Diamond, invece, confluiscono in un’istallazione fotografico-documentale e in un sito che diventa una sorta di film-archivio da navigare. Cerco sempre di forzare il limite fotografico verso dei nuovi mondi o degli intrecci linguistici che possano metterlo in crisi. Ultimamente mi interessa anche la forma libro che sto cercando di studiare sempre più approfonditamente. Per me la fotografia è un modo per indagare nuove possibilità all’interno del reale, senza tradirlo: mostrare nuove possibilità, potenziali deviazioni di ciò che ho di fronte, immagini mentali di soggetti con cui mi interfaccio. Mi interessa la fotografia in quanto strumento di documentazione, una documentazione non solo di ciò che esiste ma anche di ciò che potrebbe essere. Una documentazione del possibile, dell’onirico, non sempre vincolata ad un tempo e a uno spazio preciso, ma a tempi possibili, spazi mentali che potrebbero essere stati o che potranno essere.

 

Riferimenti (arte, letteratura, musica, altro)

I riferimenti cambiano spesso, rileggendo vecchie interviste mi rendo conto che le preferenze mutano ma sicuramente nel tempo il legame con Guido Guidi, con un certo tipo di approccio all’immagine analogica e italiana ritorna prepotentemente, come fosse una radice del mio percorso. La letteratura è fondamentale, leggo tanto, narrativa soprattutto, ultimamente una delle scrittrici che amo di più è Chimamanda Ngozi Adichie che ha appena pubblicato il bellissimo libro Notes on Grief e poi Annie Ernaux e molti altri. Anche il cinema è importante, sicuramente un riferimento tra i registi italiani della mia generazione è Alice Rohrwacher, soprattutto per la sua capacità di amalgamare un immaginario fantastico ad un paesaggio profondamente italiano. È un paesaggio legato alla cultura contadina, della campagna, una cultura simile a quella che ritrovo a Pennabilli, dove abito e intendo, molto probabilmente, aprire una casa per artisti. Pennabilli è importante anche per l’eredità di Tonino Guerra, sceneggiatore e scrittore che ha lavorato molto con Fellini, Tarkovsky e tanti altri registi che a loro volta hanno frequentato il paese lasciando delle tracce molto forti nella vita degli abitanti e nella cultura del luogo.

Un altro riferimento è il sito Costruttori di Babele, una piattaforma che raccoglie e racconta tutte le costruzioni naif e di arte spontanea in Italia, infatti sono anche affascinata dall’arte popolare o comunque  non istituzionale. A tale proposito il palazzo enciclopedico di Gioni è stato un passaggio importante, una ricerca su come raccontare un’arte che sfugge a paradigmi di ricerca e critica più istituzionali.

Sono influenzata e mi interessa anche la ricerca scientifica, per esempio gli studi del botanico Stefano Mancuso sull’intelligenza del mondo vegetale o sulle ricerche di Mayol sull’apnea profonda e in generale altri studi di biologia marina. A tal proposito sto lavorando sul legame tra suono e immagine, come si propaghino le vibrazioni sonore attraverso dei materiali come l’acqua e la sabbia e sulle figure di Chladni, nate dalle prime forme di ricerche cinetica.

 

Metodologia di ricerca

 

La mia ricerca inizia sempre da un incontro con delle persone, con un luogo, con un’atmosfera, ad esempio nel progetto Stella Maris con una casa di cura, ma può essere molto altro, anche un soggetto incontrato casualmente e fortuito su un autobus. In seguito inizia una fase di avvicinamento che equivale a una raccolta dati, a un’immersione molto personale nel luogo, come per esempio è avvenuto per il progetto Green Diamond in una fabbrica di componenti nucleari. Poi subentra la necessità di collaborare con le persone che incontro e di creare un apparato che possa tradurre l’incontro stesso, evitando lo strumento del reportage e virando verso forme diverse, come l’installazione. Ad esempio in Stella Maris non mi interessava mostrare i volti delle persone che ho incontrato all’interno della casa di cura, ma farle parlare attraverso il loro disegno o il paesaggio che le circondava. Il risultato, in questo caso, sono immagini astratte che restituiscono un’atmosfera molto intima e quotidiana di persone che vivono un’esperienza complessa, per me difficile da comprendere. Come sottolineato prima, anche la ricerca scientifica è un approccio metodologico decisivo per il mio lavoro. Ad esempio nel mio ultimo progetto Blu Diamond, la cui ricerca è durata quasi due anni, indago attraverso studi di biologi marini come il mare, l’oceano, gli abissi possano raccontare il rapporto tra l’uomo e i propri limiti, tra l’uomo e la difficoltà di afferrare completamente una sorta di armonia, una sorta di struttura nel mondo che lo circonda.

 

 

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