Testo critico a cura di Matilde Galletti

La ricerca di Silvia Mariotti si sviluppa attraverso la fotografia e l’installazione, orientata da una particolare attrazione dell’artista per la natura e il suo essere un’entità arcaica e mutevole.

La scelta di lavorare su e con immagini notturne e crepuscolari, è determinata dalle possibilità che queste offrono di cogliere i misteri e le marginalità dell’ambiente conosciuto: in quell’attimo che segna il passaggio dal giorno alla notte, la luce sembra irreale ed è capace di manipolare l’aspetto dei luoghi e delle cose. Allo stesso modo, ovvero per la stessa capacità di porre in luce anfratti dell’esistere e dell’esistente, l’artista sceglie spesso come spunti per le sue opere elementi tratti dalla letteratura e dalla storia. Questi diventano elementi che vanno a intensificare l’aspetto narrativo dell’immagine presentata, che altrimenti rimarrebbe unicamente un testo sensuale ed epidermico.

 

Le atmosfere crepuscolari e la spazialità, fisica e storica, della natura sono indagate dall’artista nella serie di fotografie Aria buia iniziata nel 2015. In questi lavori l’artista ha lavorato sulla tragicità presente in luoghi reali esteticamente coinvolgenti. Queste fotografie presentano una natura dall’intensità sensuale e grandiosa: è la natura che è riuscita a crescere e avvolgere, sovrastare, i luoghi del dramma dove si sono compiuti massacri o suicidi. Sono immagini permeate di erotismo vertiginoso che giustifica l’insistenza nel guardarle. Sebbene la resa formale di queste opere risulti estremamente precisa, pulita, essenziale, di fatto, proprio in virtù di quella sensualità ed erotismo prima citati, è possibile avvertire al loro interno uno spirito barocco. Lo stesso spirito anima, non proprio nelle intenzioni ma, anche qui, nei risultati, la serie di fotografie chiamate Boutade. Questa nasce in un periodo in cui l’artista non poteva andare a fare materialmente degli scatti e, cercando di pensare a nuovi lavori, come spesso accade si è trovata a sfogliare il proprio archivio, per fare il punto della situazione, per capire dove era e dove sarebbe voluta andare. Nello scorrere più o meno velocemente quelle immagini, ha cominciato a prendere forma la possibilità di un nuovo lavoro che veniva proprio dallo scorrere e dal sovrapporsi delle fotografie scattate in passato. Sono opere emerse dal silenzio creativo del momento e dalla sua monotonia e sono poi proseguite come un gioco, come uno scherzo. Boutade sono luoghi immaginari, artificiali, ambigui e labirintici. Se tutti i lavori di Silvia hanno una certa carica ‘impossibilista’ – troppo belli, troppo sensuali, troppo precisi – questi ultimi sembrano come formati dagli stessi elementi che potrebbero costruire un sogno: alla stessa maniera sono pezzi di immagini ‘sfogliate’ da diverse esperienze, che si uniscono formando un nuovo paesaggio, possibile, veritiero, ma magari eccepibile. Il passaggio dalla ripresa del reale alla creazione di immagini fittizie, che l’artista compie continuamente nella propria ricerca, scivola di continuo attraverso allestimenti scenografici o fotomontaggi, diorami onirici e ombre tridimensionali. Ogni volta ci si trova davanti a una dimensione alterata della realtà o la realtà stessa che ci dimostra come può essere mutevole, menzognera, incantatrice.

 

Per certi aspetti, i Boutade sono l’ideale continuazione di un’altra serie di lavori che partiva anch’essa da una manipolazione del reale orientata verso la proposta di una situazione allestita, ovvero quelli che l’artista chiama Still nights. Queste sono delle fotografie retroilluminate, degli oggetti simili ai light-box ma con la caratteristica di restituire una luce notturna e quindi piuttosto debole rispetto ai classici light-box, che per questo Mariotti ha ribattezzato dark-box. Come negli still life, l’immagine è creata attraverso la composizione di più elementi, come un collage non percepibile di porzioni di soggetti naturali prelevati dall’archivio fotografico dell’artista o, in alcuni casi, attraverso un’azione creata al momento dello scatto come il lancio di frammenti luccicanti in Pioggia lunare. Il progetto si basa sulla definizione di un immaginario poetico in cui convivono due aspetti: quello apparentemente reale e quello più visionario.

 

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