Testo critico a cura di Elena Forin

Stella Maris è una casa di riposo per anziani non autosufficienti e con capacità cognitive e fisiche ridotte. Si trova agli Alberoni, al limite estremo del Lido di Venezia, un luogo isolato e selvaggio specialmente d’inverno quando il tempo delle villeggiature è terminato e la nebbia abbraccia ogni cosa senza farsi penetrare nemmeno dalle luci della Laguna.

 

Rachele Maistrello l’ha scoperta per caso e iniziando a frequentare la struttura ha capito che questa sua “distanza” non dipende tanto dalla lontananza da Venezia o dal resto del mondo, quanto dalla separazione che attraversa il tempo e le persone che la abitano. Chi ci entra infatti lo fa per non uscirne più, e a seconda della gravità delle proprie patologie viene accolto in parti diverse dell’edificio: al piano più alto i meno gravi, mentre scendendo aumenta la serietà delle condizioni dei ricoverati. Il giardino e la spiaggia sono per lo più vuoti perché in queste persone l’abitudine a uscire si logora poco alla volta: la loro è letteralmente una vita ritirata eppure le loro menti possono spaziare ovunque e senza limiti, perché ogni stanza affaccia sul mare o sulla laguna.

 

Da questo doppio nodo tra raccoglimento e infinito nasce Stella Maris di Rachele Maistrello, un progetto che si è svolto dal 2017 al 2019 e che ha previsto varie fasi di ascolto, di relazione, di realizzazione e di condivisione. In una prospettiva così articolata e trasversale due domande sono state cruciali per attivare e condurre tutto il percorso: come rapportarsi alla memoria di chi ha il tempo dentro di sé ma non vive il presente? E come si può vivere in un luogo che ha per paesaggio l’acqua?

 

Per rispondere a tali quesiti l’artista ha iniziato a frequentare regolarmente la struttura e alcuni dei suoi ospiti. Questi incontri hanno attivato una riflessione sulla relazione tra realtà, immaginato e fonte: il racconto del nostro passato corrisponde a ciò che è effettivamente successo? Come si costruisce un’immagine fedele e libera da autorappresentazioni? Quali sono i modi e gli strumenti per trasferire autenticità? E come restituire un ritratto senza tradurre una fisionomia ma mettendo a fuoco l’identità di una persona, la sua esperienza e il suo sguardo sul mondo?

 

Per provare ad accedere a un universo reale e tentare di afferrare la natura delle immagini sepolte nelle menti di questi nuovi amici, Rachele Maistrello ha iniziato a porre loro domande molto precise: che calze indossavi al tuo primo appuntamento in balera? E com’era fatto il portone della prima casa in cui hai abitato?

 

Da qui sono nati dei semplici disegni su carta da lucido trasparente: a tracciare questi ricordi sono stati naturalmente i loro protagonisti, che l’artista ha poi intervistato sui temi della memoria e delle sensazioni a essa legate. Come nell’assenza di impaginazione grafica che caratterizza le raccolte di disegni, anche nella seconda fase del progetto Maistrello ha voluto presentare il frutto di questi scambi senza filtri: ha iniziato così a collezionare immagini del mare e delle acque che gli ospiti di Stella Maris vedono dalle loro stanze, scegliendo quelle prese nei loro momenti preferiti. Ha raccolto questi scatti e ha iniziato a lavorarli in uno spazio difficile da raggiungere per queste persone, e non tanto in termini fisici, quanto per la sua accessibilità psicologica: la stanza/studio si trova infatti al piano -1, dove c’è anche la camera mortuaria. Questo percorso, totalmente nuovo per gli ospiti, ha fatto si che si scardinasse la logica di percorrenza degli ambienti rispetto alle modalità abituali, e l’impatto di questo cambiamento ha consentito una diversa relazione con i partecipanti. Sono stati infatti abbattuti sia i ruoli tra gli spazi, sia quelli tra l’artista e i pazienti, che da quel momento hanno avuto consapevolezza di essere co-autori del lavoro.

Le foto del mare sono state poi interessate da un ragionamento sulla natura delle immagini secondarie (come quelle dei cartelli lungo le strade) sulla loro capacità di attivare mondi onirici e di impastare realtà e fantasia. Questa analisi, in cui è emersa anche la rilevanza dei supporti analogici per lo sviluppo degli immaginari, ha comportato la creazione di un pattern composto dai diversi scatti e montato su una sagoma rigida allestita dentro le acque e poi fotografata col banco ottico: la forma, che riproduce un pezzo di corteccia dell’albero più grande del giardino, è stata scelta dagli ospiti/partecipanti/co-autori. I disegni del libro a edizione limitata, le foto di grande formato scattate sul mare, le stampe più piccole realizzate in camera oscura a partire dai disegni, la scultura in acciaio realizzata con la traduzione vettoriale dei disegni, e il diario libero da edizione e steso a progetto concluso, compongono l’articolato corpus di Stella Maris. Un progetto che pone questioni interne all’uomo e alla memoria, e che stimola un’importante riflessione sulla natura delle mediazioni e sul ruolo della fotografia come fonte e documento.

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