Fotografia
Il mio approccio al mezzo fotografico nasce da un contrasto tra due modalità di rappresentazione dei soggetti che mi attraggono. Da un lato il bisogno di comprendere ciò che mi si presenta di fronte, una fascinazione verso la bellezza e l’utilità contenutistica di una rappresentazione didattica delle cose – dettata credo anche dal contesto editoriale e commerciale per cui spesso realizzo commissioni. Dall’altro lato la necessità di astrazione della realtà – una sorta di incapacità di accettare le cose per come sono, intervenendo e forzando uno sguardo faticosamente sempre per me nuovo verso soggetti consueti. Talvolta può capitare che questi due filoni si incontrino fortuitamente, producendo le immagini a cui sono più interessato. Negli ultimi sette anni, lavorando ad incarichi editoriali, accanto al mio lavoro personale, ho deciso di demistificare in parte le situazioni legate al lavoro commerciale che stavo svolgendo, molte delle quali legate a sperimentazioni, nuove tecnologie, processi industriali e altamente automatizzati. Ho utilizzato il mezzo fotografico per scomporre ciò che stavo guardando, lavorando sull’estetica della funzionalità, cercando concetti più semplici e allo tesso tempo magici e pastosi, più facilmente associabili ai miei ricordi d’infanzia.
Riferimenti (arte, letteratura, musica, altro) / contaminazioni
Ho iniziato ad avvicinarmi all’immagine tramite l’osservazione della pittura e dell’illustrazione, da piccolo, nella casa dei miei genitori. Erano accumulatori di riproduzioni di dipinti del Novecento di cui ricordo ricordo i colori di Virgilio Guidi, De Chirico, Dalì. Credo un certo tipo di attitudine alla classicità, alla bellezza senza tempo e alla malinconia abbia iniziato a formarsi lì. Successivamente è arrivata la fascinazione per la fotografia, con i grandi ritrattisti americani, con la New Objectivity e il Bauhaus – scoprendo durante gli anni dell’università che esisteva chi già era stato in grado di distillare informazione, magia e mistero in immagini di soggetti definibili comuni. Ad oggi forse sono tornato ad essere più vicino al lavoro pittorico di Georgia O’Keeffe, Vita Celmins o Natalie Du Pasquier. Alla ricerca di soggetti che si spiegano “da soli” nella loro apparente semplicità, sia essa concreta o astratta.
Metodologia di ricerca
Il mio lavoro si snoda fra l’interno e l’esterno. In studio e sul campo. Mi trovo a mio agio nell’interazione fra i due spazi, nella vicendevole contaminazione. Mi capita di essere attratto da un oggetto raccolto per strada e di esplorarlo successivamente in studio, completamente decontestualizzato. All’opposto, mi piace sperimentare intervenendo sulla realtà esterna, trattandola come uno spazio controllato da illuminazione artificiale gestita da me. La non-metodologia che riscontro più frequentemente nel mio lavoro è un qualche tipo di ossessione verso la trasformazione delle cose.