Fotografia
La fotografia per me è particolarmente interessante perché sottende un altissimo grado di ambiguità legato al fatto che tendiamo, culturalmente, ad associarla con la realtà. Nel 2015, quando ho iniziato a lavorare a ‘Bridges are Bautiful’ (working title) leggendo Susan Sontag e nello specifico ‘Regarding the Pain of Others’ mi interrogavo sul fatto che una fotografia sottile, indiretta, potesse avere un impatto addirittura più importante di immagini dirette, forti o di “dolore”. Questa riflessione ha radici profonde nella fotografia con cui mi sono formata e che tuttora continua ad affascinarmi. In particolare mi riferisco a quella tradizione documentaria che si sviluppa – pur trasformandosi molto – a partire, più o meno, dalla figura di Walker Evans. La fotografia di Evans fu descritta da Lincoln Kirstein come una fotografia che si manifesta con un atteggiamento di tender cruelty, dove regna un perfetto equilibrio tra engagement ed estrangement, impegno ed estraniamento, disincanto.
La fotografia partendo da un’estetica vicina al ‘reale’ ha la potenzialità di diventare veicolo di critica sociale e politica, ma non perché lo scriviamo in una didascalia sotto alle immagini, quanto piuttosto perché le immagini ci investono con il loro valore. Questo pensiero fa riferimento ad un discorso esplorabile all’interno di un catalogo che rimane per me fondamentale per la riflessione sulla fotografia contemporanea. Si tratta di Cruel and Tender, catalogo della prima grande mostra dedicata alla fotografia in un museo di arte contemporanea in Europa, ovvero la Tate (2003); la mostra si interrogava sul posto della fotografia documentaria rispetto all’arte contemporanea. Tra le molte possibilità offerte da Cruel and Tender, per esempio i ritratti dei toreri di Rineke Dijkstra, tutt’altro che astratti, evocano ma non mostrano nulla, alludono attraverso un contesto scarno e disincantato, e al tempo stesso, mediante i singoli in qualche modo ci parlano della nostra condizione esistenziale vulnerabile in quanto esseri umani.
Riferimenti (arte, letteratura, musica, altro)
Mi sono formata nella scuola di fotografia italiana e in particolare con Guido Guidi. Dopo aver assimilato la sua lezione legata all’attesa, alla straordinarietà del banale e all’oltrepassare i limiti, ho deciso di confrontarmi con culture diverse e diverse modalità di relazione con il medium stesso, formandomi, lavorando e vivendo in Svizzera e in Olanda.
Se penso alla mia formazione prima, alla facoltà di architettura, potrei dire che ciò che infine trovo davvero interessante è l’urbanistica. Fotografia e urbanistica, per lo meno per come ho imparato ad intenderle, hanno in comune la necessità di un atteggiamento da un lato rigoroso e dall’altro curioso, esplorativo. Mi interessano molto le contaminazioni e per esempio, dei libri la cosa che amo di più sono le liste di titoli che di solito hanno alla fine, che rimandano ad altri titoli, o le note che mi fanno scoprire altre cose in una sorta di reazione a catena. Mi interessano la complessità, la contaminazione, l’equilibrio, la catastrofe (percettiva) che ci rende vulnerabili, e allora mi vengono in mente in disordine Aby Warburg, Superstudio, Lars Von Trier, Werner Herzog, Caravaggio, Pier Paolo Pasolini, Michael Schmidt, Allan Sekula, Alighiero Boetti, Harun Farocki, Petra Stavast, Walid Raad, Latoya Ruby Frazier. Una delle opere che mi affascinano di più è ‘The way things go’ di Fischli e Weiss (1987) in cui un susseguirsi di eventi a catena provocando una sorta di catastrofe in bilico tra ironia e tragicità, sottile e finalmente drammatica evocando non solo i quattro elementi primari – acqua, aria, terra e fuoco – ma anche, attraverso oggetti di uso comune, la loro relazione con noi uomini. In questo senso quest’opera per me è fondamentale perché affronta il tema che mi è tanto caro della catastrofe e della relazione tra natura e cultura, troppo a lungo tenute separate.
Per lo stesso motivo trovo estremamente interessante il lavoro di Rosa Barba e in particolare un progetto el 2010, ‘The Empirical Effect’ in cui l’artista riflette sulla tematica della catastrofe annunciata usando come espediente il Vesuvio. Inoltre se dovessi pensare ad un riferimento letterario per esempio citerei W. G. Selbald che nei suoi testi si concentra su una sorta di maniacale dialogo tra frammenti in cui “la sua tessitura si regge su una maniacale ermeneutica del frammento (..) anche se poi il labirinto, anziché condurre ad un altrove porta diritto al centro della tragedia, negli strati profondi della psiche sconvolta di chi l’ha vissuta.”[1] Al tempo stesso sono particolarmente affascinata da tutto quel filone di letteratura che trae le sue origini da ricerche scientifiche dove potrei citare Oliver Sacks, David Quammen, Eduardo Kohn, Richard P. Feynman, Carl Safina.
Metodologia di ricerca
Ad oggi la mia pratica si sviluppa attraverso un approccio multidisciplinare basato sulla ricerca e il mio processo di lavoro si muove dalla fonte al poema, al ritmo, fino allo spettatore, confrontandosi con diverse prospettive dal vernacolare-naïve al tecnologico-scientifico. Mi interessa molto l’indeterminatezza che sta alla base della relazione e del contrasto tra ricerca e poesia o in altre parole tra natura e cultura. Poesia è la dura roccia indistruttibile della montagna, così come la nuvola sospesa nel cielo. [2]
Altra questione, mi interessa molto come modalità di ricerca il pensiero greco ovvero quello in cui trova le radici l’atteggiamento interdisciplinare – ne parla già Plutarco ne ‘Il volto della luna’ – per come lo intendo, ovvero una contaminazione tra cultura e saperi esperti, tra mito e scienza, da affrontare non in maniera dilettantesca quanto piuttosto con apertura ed empatia.
Contaminazioni
Tutto il mio lavoro si basa sulle contaminazioni, dalle suggestioni alla ricerca, alla produzione e infine alla restituzione.
In particolare mi interessano le contaminazioni tra intuizioni legate al muovermi fisicamente nei luoghi e al fotografare, all’immaginario vernacolare e a quello scientifico. Mi interessa come il ruolo delle immagini possa modificarsi e come possano essere risignificate. Le contaminazioni per me sono fondamentali essenzialmente perché trovo che non possa esistere una fotografia per la fotografia ma che il punto sia piuttosto come la fotografia possa partecipare attivamente a dei processi di costruzione di conoscenza senza necessariamente essere descrittiva. Come detto il mio processo di lavoro é costituito da contaminazioni non solo tra discipline diverse, ma anche da contaminazioni tra linguaggi. Mi interessano molto in questo momento le possibilità di interazione tra immagine e testo e le possibilità installative delle opere stesse. In particolare un riferimento importante in questo senso è il lavoro di Allan Sekula che si inserisce nella tradizione documentaria in maniera piuttosto radicale, costruendo dei veri e propri saggi che dialogano con le sue fotografie.
[1] Roberto Gilodi, Ritratto di W.G. Sebald, Doppiozzero, 2012
[2] Taco Hidde Bakker, Are they documents or poems?, in Are they rocks or clouds?, Marina Caneve, Fw:Books and OTM, 2019