Intervista a Giorgio Di Noto

Fotografia 

La fotografia è qualcosa di molto banale e complesso allo stesso tempo. Ha un rapporto inevitabile con il passato e uno con il presente. E’ un mezzo fluido, cambia continuamente insieme alla tecnologia, all’arte e alla comunicazione. E’ un mezzo sempre e naturalmente in contrasto con il suo contenuto: se da una parte riproduce così fedelmente la realtà, dall’altra la deforma e la trasforma. La sua ambiguità porta addirittura a mettere in dubbio la descrizione stessa di fotografia come mero strumento, o come linguaggio, o come espressione creativa e artistica. Nel campo del fotografico ci sono abbastanza argomentazioni per affermare e negare qualsiasi posizione e descrizione. La fotografia è quindi un condensato di contrapposizioni e contraddizioni, tanto che il libro “Photography is” (Mishka Henner) è una raccolta di tremila definizioni della fotografia.

Tutto questo ha da sempre attirato la mia attenzione, da un punto di vista teorico, estetico e artistico. Oggi in realtà stiamo vivendo una tale frammentazione della fotografia, che la parola stessa non ha forse più senso se non da un punto di vista semplicemente tecnico. Si dovrebbe parlare esclusivamente di “Immagini”, da momento che definirle fotografie non ha più quasi senso. E definire questo senso o non-senso è proprio uno dei temi del mio lavoro. Negli anni 60 è stato individuato il Linguistic Turn (Rorty), negli anni 90 è stato coniato invece il Pictorial Turn (Mitchell and Boehm), sono appena passati altri 30 anni e forse è giusto il momento di un altro “Turn”.

Riferimenti (arte, letteratura, musica, altro)

La fotografia, a secondo del punto di vista, può essere vista come un linguaggio simile alla scrittura e alla  poesia (possibilità di raccontare e costruire un discorso), alla musica (il suo essere un linguaggio universale) e naturalmente all’arte visiva e performativa (dal cinema alla pittura). In tutti questi ambiti ci sono naturalmente moltissimi riferimenti da tutte le arti, sarebbe impossibile quindi circoscrivere qualcosa di preciso.

Tuttavia ci sono alcuni passaggi importanti che ho sempre trovato illuminanti: nel caso della scrittura ad esempio la poesia di Eugenio Montale e il suo esperimento in “Poesia travestita” sul concetto di traduzione. Come diceva Heidegger “ogni traduzione è un tradimento”, e questo ha molto a che fare con la fotografia. Da un punto di vista linguistico anche “Esercizi di Stile” di Raymond Queneau è stato un punto fondamentale della mia formazione.

Passando alla musica, il Jazz e tutta la poetica dell’improvvisazione ha sempre svolto un ruolo fondamentale su come rielaborare, traslando sul fotografico, il materiale e l’immaginario visivo che costruiamo, ogni volta in maniera diversa e originale.

Riguarda la fotografia, tralasciando i grandi classici a partire da Robert Adams fino a Jeff Wall, sono sempre stato attratto da due diverse tipologie di artisti e opere: una molto legata alla materia, alle tecniche di stampa, ai processi alternativi e alla chimica delle immagini. In questo ambito ho sempre seguito quegli autori che lavorano in stretto rapporto con l’estetica dei processi fotografici e della sperimentazione. Dall’altra parte invece, negli anni più recenti forse, ho iniziato a seguire artisti, anche non strettamente fotografici, che mettono in discussione il ruolo, l’estetica e la funzione dell’immagine fotografica e l’esperienza visuale in generale. Mi riferisco ad autori come Trevor Paglen, Philippe Parreno, Oscar Munoz, Broomerg and Chanarin, Erik Kessel ecc. ecc.

Metodologia di ricerca

Nella mia ricerca un progetto segue sempre due strade parallele che a un certo punto si devono incontrare: una è quella del mezzo tecnico, della forma e della materialità. Ogni lavoro deve entrare in stretta connessione con lo strumento utilizzato per realizzarlo, che sia una tecnica di stampa, un inchiostro o una modalità di presentazione, analogica o digitale. In questo campo cerco sempre di fare un po’ di ricerca per andare oltre e scardinare i mezzi tradizionali di rappresentazione, o almeno provarci. L’altra strada, infinita e indefinita, è quella del materiale concettuale e il soggetto su cui lavorare, l’argomento da approfondire e il tema su cui fare ricerca. Ad un certo punto le due strade si devono incontrare e si deve stabilire un nesso di necessarietà e indispensabilità. C’è poi una sorta di passaggio obbligato in cui cerco di capovolgere totalmente il punto di vista secondo il quale ho lavorato, per cercare e mettere in luce aspetti che magari non avevo considerato. E in questo l’aiuto di colleghi, assistenti, amici e sconosciuti è fondamentale.

Contaminazioni

Occuparsi di immagini e fotografia oggi per me non può prescindere dal confrontarsi con la scienza, i videogames, le nuove tecnologie e tutto ciò che concorre a costruire la nostra quotidianità visuale. Il mio lavoro è quindi basato proprio sulle contaminazioni, da quelle più banali a quelle più inaspettate.

 

 

 

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