Intervista a Fabio Barile

Fotografia 

Sono arrivato alla fotografia per una serie di circostanze fortuite. Il mio primo incontro con l’arte è stato con il Surrealismo e poi con il Futurismo. A posteriori, mi viene in mente che l’arte del primo 900 manifesta in sé le rivoluzioni del pensiero di quel periodo, dalle teorie di Freud e Jung sulla mente alla relatività di Einstein. Questa sovrapposizione, in effetti, è ancora il fulcro del mio interesse per l’arte. Tramite il Futurismo ho scoperto poi la fotografia di Anton Giulio Bragaglia e fratelli,  che è stato il mio primo contatto con il mezzo. Da li è scattato qualcosa.

Forse, essendo cresciuto nella cultura televisiva degli anni 80, la fotografia ha fatto presa su di me più della pittura o della scultura. Nel 2002 ho comprato l’album Up di Peter Gabriel e nel booklet ogni brano era associato ad una foto, con autori come Shomei Tomatsu, Susan Derges, Arno Rafael Minkkinen e Adam Fuss. Quel giorno credo di aver deciso di voler utilizzare la fotografia come mezzo espressivo (riascoltando l’album e riguardando il booklet, dopo quasi 20 anni, mi rendo conto che quelle immagini mi hanno plasmato visivamente dall’interno, come un fiume sotterraneo modella la superficie). Origini a parte, non assegno uno statuto speciale alla fotografia, è semplicemente il frutto di un processo, incontri e circostanze casuali che hanno costruito qualcosa, ed è proprio così che intendo la mia pratica artistica, come strumento stratigrafico e mezzo processuale, come lo definisce Guido Guidi.

Riferimenti (arte, letteratura, musica, altro)

Biologia. filosofia, meccanica quantistica, fotografia, arte, letteratura, antropologia.

Tutto fa brodo, come si suppone sia nata la vita? In un brodo di varie componenti interagenti (forse più probabile vicino dei camini idrotermali in fondo all’oceano, ma l’immagine del brodo funziona).

Per rispondere riporto l’incipit di “Che cos’è la vita?” di Erwin Schrödinger

“Noi percepiamo chiaramente che soltanto ora incominciamo a raccogliere materiale attendibile per saldare insieme, in un unico complesso, la somma di tutte le nostre conoscenze; ma, d’altro lato, è diventato quasi impossibile per una sola mente il dominare più di un piccolo settore specializzato in tutto ciò.

Io non vedo altra via di uscita da questo dilemma (a meno di non rinunciare per sempre al nostro scopo) all’infuori di quella che qualcuno di noi si avventuri a tentare una sintesi di fatti e teorie, pur con una conoscenza di seconda mano e incompleta di alcune di esse, e correre il rischio di farsi ridere dietro.”

Metodologia di ricerca

Ho sempre lavorato su progetti a lungo termine, in ognuno stabilivo un metodo fatto di semplici regole che mi guidavano, però nel corso degli anni in cui il progetto si svolgeva la mia metodologia cambiava inevitabilmente e soffrivo la frustrazione di ritrovarmi con le ultime cose fatte che per me erano buone e il resto era da buttare, prestando attenzione a questi cambiamenti nel tempo mi sono reso conto, dopo anni, che quello che mi interessava realmente era proprio quel cambiamento, mi interessava non il come le cose sono, ma come le cose diventano. Con questo spirito, la mia ricerca attuale prova ad imitare (senza che lo abbia scelto) alcuni principi dell’evoluzione, cioè l’esplorazione simultanea e casuale di diverse traiettorie e come queste interagiscono e mutano nel tempo.

Le uniche regole, al momento, sono due. La prima è che qualunque cosa mi interessi, che sia una formazione rocciosa, un bosco, un oggetto che ho costruito o un’immagine su una pagina di wikipedia, deve passare attraverso la lente del banco ottico (con qualche eccezione) e la seconda è che tutto deve finire su una pellicola in bianco e nero del formato 4×5”, per il resto vale tutto. È un processo basato sull’accumulo, mi interessa l’essenza stratigrafica delle cose e, per cose, intendo anche il mio tentativo di comprensione della realtà attraverso la fotografia.

Cito nuovamente Schrödinger “saldare insieme, in un unico complesso, la somma di tutte le nostre conoscenze” e aggiungo, di tutto ciò che sono, ciò che è mio perché l’ho scelto e quel che è mio perché viene dalla mia famiglia, i miei interessi, le mie esperienze personali, le mie contraddizioni, la storia della terra e la storia del genere umano. Tutto mi appartiene, o meglio, sono io che appartengo a tutto.

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